Più probabilmente, il nodo che lega i due uomini protagonisti di TARGET. Padre e figlio, in un regista che ha spesso seguito il tema della difficoltà di divenire adulto. Della violenza del mondo adulto che contraddice gli ideali del giovane americano, conducendolo allo scacco ed alla solitudine.Visto come andavano le cose, in Target c'era piuttosto un altro tema da sviluppare. Quello della perdita dell'identità: per l'agente in pensione, obbligato a cambiare non solo vita, ma personalità, modo di comportarsi con le persone più care. E per il figlio: che cresciuto da un padre incapace di awiare il motore dell'auto alla mattina, si ritrova improvvisamente davanti 007.Il fallimento totale di TARGET impedisce qualsiasi cosa che non sia la ricerca ottusa di un ritmo cosiddetto frenetico. La sceneggiatura è un'infilata di sconclusioni, i dialoghi aggiungono risibilità ad un intreccio inverosimile che a ogni costo si vuol recuperare alla logica, gli attori (specie lo slavato Matt Dillon che ci volevano propinare come erede di James Dean) si aggirano sperduti negli aeroporti di Dallas, Parigi, Amburgo e Berlino. Perché, come si sa, le spie adorano imbarcare e sbarcare.